Piccole Dolomiti: Un passo in verticale

Stefano Erle, GAE

Parlare di Piccole Dolomiti in un articolo iniziale non è semplice: per chi è di casa in queste vallate risulta quasi un riflesso incondizionato sconfinare nell’esaltazione di questi luoghi; l’immensa bellezza e varietà che qui vivono da coinquilini possono risultare un’arma a doppio taglio per l’imparzialità di una descrizione e di un racconto che sia di aiuto a chiunque voglia muovere i primi passi in questa parte di Prealpi Venete.

Ma farò di tutto ciò un punto di forza, per dar merito a questi luoghi che tuttavia non sono mai diventati Parco per motivi che, per mancanza di competenze, non posso confutare.

Partiamo dall’inizio: Dove ci troviamo? Cosa rende degno di nota questa parte di Veneto?

Le Prealpi venete

Il termine chiave è Prealpi, non deve fuorviarci questo “Pre”, nessuna sminuizione, nessun declassamento, è solamente una collocazione geografica o se si vuole, temporale: per chi venisse dalla Pianura Padana i primi rilievi montuosi che troverebbe sarebbero questi, una porta d’ingresso in un altro mondo e un’altra cultura, un altro modo di sopravvivere fino agli inizi del secolo scorso, un luogo di confine fisico e amministrativo, in poche parole tutto ciò che ad oggi ne plasma la bellezza.

Le Prealpi sono il luogo in cui l’orogenesi, nei suoi ultimi, pochi, milioni di anni, sprigiona esplosivamente la sua potenza.

Dopo le prime avvisaglie nelle prospicienti zone collinari, questo scontro tra placche continentali scaglia in verticale strati e strati geologici, non c’è alcun ostacolo a sud, solo la pianura a pochissimi metri s.l.m. che spesso non arrivano al centinaio. Lo stacco è improvviso, pareti, mura calcaree solcati da valli e vallicole erosive strette ed estremamente ripide, dita di roccia quasi a scavarsi una veloce via verso l’alto scrollandosi di dosso il terreno, plasmate, scolpite, lavorate dal tempo e dai ghiacciai nel loro incedere e ritiro.

Non devono ingannare i pendii boscosi ed erbosi, i sentieri che ne solcano le dorsali e le rive, fatte salve le antiche vie di comunicazioni carraie o di guerra,  non sono quasi mai banali, presentano difficoltà fisiche non indifferenti e spesso richiedono passi mossi da una certa esperienza e capacità di lettura del territorio. I dislivelli superano agevolmente le centinaia di metri e a quote relativamente basse, anche sotto i 1000 metri, si hanno scorci del tutto affascinanti e inaspettati.

Salendo sul monte Carega

Sforzi che appagano assolutamente: le vette nel loro piccolo sono torri di vedetta eccezionali, panorami e paesaggi che sconfinano delle Alpi fino al confine con l’Austria, la pianura che si adagia verso l’Adriatico, le coste Balcaniche e le vette degli Appennini. Questo lo ben si sapeva già da migliaia di anni quando uomini con fisici dalle capacità ben superiori a quelli maturati nell’ultimo secolo, usavano questi luoghi non solo per sopravvivere ma anche per controllare fuochi o bagliori di armature non attesi, gli unici riflessi artificiali.

Se si azzardasse un paragone, le Prealpi sono una mandria di puledri irrequieti e scatenati contro la mandria di possenti bufali delle Dolomiti.

In tutta questa fascia Prealpina che va dalla Lessinia Veronese al Col Visentin tra Treviso e Belluno c’è una catena montuosa, anzi, tre piccole catene montuose che rientrano tutte nella definizione di Piccole Dolomiti, che spiccano in particolar modo per litogenesi, conformazione e paesaggi.

Le Piccole Dolomiti

Il nome racconta molto: si tratta di vere e proprie conformazioni Dolomitiche, le cui vette superano a malapena i 2200 metri, ma non sono i metri a dar loro il carattere che possiedono.

Sono consapevole che la narrativa riguardo a questo angolo di montagna sia notevole sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, basti pensare a quanti “colossi” dell’alpinismo abbiano trovato palestra tra queste guglie e pareti come il Baffelan e il Torrione Recoaro, penso a Soldà, Meneghello, Carugati, Sandri e Menti, Berti, Carlesso e non per ultima El Grio Cristina Castagna, e moltissimi altri ugualmente celebri nomi che non elenco ma certamente non per mancanza di rispetto. 

Scrivo di questi luoghi consapevole dei miei limiti, tuttavia scrivo perché qui sono nato come escursionista, queste sono le mie montagne, qui sono diventato Guida Ambientale Escursionistica e nel corso degli anni ho scorto i mutamenti che inevitabilmente scolpiscono anche in maniera rapida questo territorio.

A differenza delle Prealpi confinanti, le Piccole Dolomiti si raggiungono al termine di vallate, nascono dalle dorsali via via sempre più elevate terminando in massicci come il Carega a ovest, in una catena longilinea ed aguzza come il Sengio Alto al centro, forse lo skyline più emblematico dei tre gruppi montuosi, e il Pasubio dalla doppia sfaccettatura ad est, verticale e assolutamente selvaggio il lato meridionale in provincia di Vicenza, lento altopiano carsico e roccioso il lato che piano piano scende dolcemente verso Rovereto e il Trentino.

Le vette delle Piccole Dolomiti

Il Carega è il massiccio con la struttura più complessa: la dorsale meridionale è delimitata dalla Val d’Illasi ad ovest (Verona) e la Valle dell’Agno ad est (Vicenza), anche se la geografia è più complessa di così per la presenza di valli intermedie e confluenti, dallo sviluppo inferiore ma assolutamente non meno importanti come la Val Chiampo.

Il monte Carega

Da questa dorsale si sviluppa il nodo centrale, un vero e proprio massiccio Dolomitico in tutto e per tutto. Per abbracciarlo si potrebbe estendere una linea curva immaginaria tra il Passo Pertica (Trentino) e il Passo di Campogrosso (Vicenza) passante per la Cima Carega a 2259 metri. Poi, semplificando, riprende in dorsale verso Rovereto tra la Val di Ronchi e la Vallarsa con gli emblematici Coni Zugna.

Il Gruppo del Sengio Alto è una lama, una sorta di diga che lega Carega e Pasubio, la cui dorsale disegna il confine tra Veneto e Trentino congiungendo i passi di Campogrosso e Pian delle Fugazze.

Il Sengio alto con il Carega sullo sfondo

Il Pasubio è un massiccio tozzo con un lato sud Vicentino molto impervio e articolato mentre il lato Trentino è delimitato dalla Vallarsa e la Valle del Terragnolo entrambe confluenti verso Rovereto. 

Il Pasubio visto dal lato sud

Perchè fare escursioni nelle Piccole Dolomiti?

Arriviamo al dunque: perché esplorare le Piccole Dolomiti armati di scarponi, zaino e voglia di faticare un poco?

Se non bastassero i nomi prima citati ad incuriosire un escursionista appassionato, posso tentare io.

Entrando in queste valli ci si accorge subito che il paesaggio è completamente diverso da qualsiasi altra zona Prealpina Veneta, il nome stesso Carega è un’italianizzazione del Cimbro Kar-egge: cima frastagliata o pareti scoscese.

Il Carega

Nel momento in cui si poggia piede sulla roccia i sentieri difficilmente corrono longilinei, sono segnati da continui solchi, vaji, saliscendi ininterrotti, angoli che si fanno scorgere continuamente offrendo vedute sempre diverse.

Spesso sono semplici mulattiere di guerra, vie di comunicazione più antiche, tracciati di contrabbandieri che varcavano il confine Austro Ungarico racimolando pochi spicci in questo commercio, per far sopravvivere le famiglie durante i rigidi mesi invernali, sentieri attrezzati dai più semplici ai più impegnativi o canaloni, vaji appunto, risalibili in un mix di sentiero e facile arrampicata. Non mancano i secolari resti di mestieri non più praticati ma ancora vivi nella memoria locale, attività invece ancora praticate come la produzione di pregiati formaggi di malga o miele. 

Puoi salire in un castello di guglie e ritrovarti improvvisamente in cresta camminando su parapetti di roccia che a strapiombo guardano verso inaspettati anfiteatri naturali.

Puoi camminare sul filo della cresta osservando lenti declivi e pascoli da un lato mentre dall’altro si è accompagnati da scorci accessibili solo da intrepidi camosci e gazze.

Puoi raggiungere la croce di vetta  ammirando le vicinissime Alpi a nord e la pianura sud, e sentirti realmente sul tetto di questo mondo.

Escursione nelle Piccole Dolomiti

Ancora, si possono percorrere gallerie scavate nella roccia, trincee, entrare in fortificazioni e forti dismessi. Strade che più di un secolo fa avevano scopi bellici ora si sono tramutate in opere che permettono di scorgere angoli e scenari che altrimenti sarebbero ad appannaggio solo ed esclusivamente di abili alpinisti.

La sensazione di calpestare questi luoghi è quella di essere circondati da montagne importanti, di un camminare mai banale, mai scontato, mai noioso, mai. Arrivare prima dell’alba significa essere dentro l’enrosadira che qui pennella esattamente come in Cadore, significa vedere dopo tanti anni, camosci curiosi che ti scrutano quasi divertiti mentre appoggi faticosamente un piede davanti l’altro. Significa sentire il maestoso urlo dell’aquila reale, i voli circolari delle poiane, l’immobilità statuaria delle gazze che in aria plasmano le correnti, i bramiti dei cervi in autunno e i garriti delle rondini e rondoni in primavera nelle loro rotte migratorie.

Un giovane camoscio

Significa scorgere fiori che solo qui crescono perché l’atmosfera piatta e umida del mare e della pianura si scontra con l’aria nordica delle Alpi a nord creando un piccolo ecosistema del tutto unico.

Significa cogliere la fusione di popoli che nel corso dei millenni qui hanno trovato casa integrandosi l’un con l’altro portando saperi, mestieri, miti, leggende che ancora resistono negli enigmatici nomi di vallate, sengi, pascoli o contrade.

Si può riscoprire un territorio a passo lento, percorrere una memoria che ancora non è del tutto scomparsa, puoi camminare zaino in spalla per giorni e rifugi. 

Ti basta muovere un passo in verticale.

Stefano Erle

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